Danzare in Italiano e altri stereotipi

Pubblicato il 12.1.2023

Una conversazione sulla importanza della lingua nella danza e nelle arti performative, tra tre danzatori che hanno in comune la conoscenza della lingua italiana. 

Beniamino Borghi, Italiano che vive in Finlandia da almeno 10 anni, anche se con una educazione in Design ha intrapreso la carriera artistica nel settore della danza e nel multimediale. Heli Keskikallio, danzatrice, coreografa ed insegnante Finlandese, ha anche avuto esperienze lavorative in Italia, motivando maggiormente il suo interesse per la lingua Italiana. Giorgio Convertito, danzatore e coreografo Italiano, che, trasferendosi 20 anni fá, si è creato in Finlandia un ruolo fondamentale nella scena della danza contemporanea e nell’improvvisazione. I tre artisti si sono incontrati in una pizzeria di Helsinki per parlare di danza e come le diverse lingue possono influire nella nostra vita e nel nostro lavoro. 

B: Grazie per essere venuti, mi fa piacere rivedervi… 

G: Grazie a te per averci coinvolto. 

H: Grazie, sì! 

B: Ed è carino farlo proprio davanti ad una pizza. Interessante vedere quale pizza ordiniamo, un po’ come “dimmi che pizza prendi e ti diró chi sei!” (ridendo con gli altri inizia poi il discorso gesticolando da buon italiano). 

L’idea di questa conversazione è di giocare con gli stereotipi. A me piace lavorare con stereotipi solo se sono trattati come dei riferimenti culturali, senza cadere in banali categorizzazioni. Quello che sarebbe divertente è tirare fuori tutte le cose che succedono quando parliamo in Italiano, all’estero o in Italia, soprattutto nel nostro campo lavorativo. 

Per curiositá Heli tu sei finlandese ma parli benissimo in Italiano. Come è successo e perché proprio l’Italiano? 

H: Ho voluto imparare l’italiano perché l’ho sentita più “vicina” (portandosi le mani al cuore)… mi sento che sono piú attaccata all’Italiano che all’Inglese o allo Svedese, forse perché l’ho imparata proprio parlando direttamente con la gente e non con i libri. 

B: Beh nel tuo caso (riferendosi a Giorgio) ci sei nato, è la tua madrelingua, non ci puoi fare niente. Ma ricordo che hai vissuto parecchio all’estero. Per curiositá per quanto tempo?

G: Tra un anno passeró la linea di mezzo, vorrá dire che ho passato tanto tempo all’estero quanto in Italia. 

B: Infatti certe volte ci scordiamo che molti stranieri all’estero non sono piú tanto stranieri pensando a quanto hanno vissuto nel paese ospitante. Con gli anni passati all’estero siamo evoluti in altre dimensioni. 

G: Eh sì, ti cambia molto: guadagni altri punti di vista e ti allontani un po’ da quelli che sono i riferimenti, le abitudini e le convenzioni culturali che sono presenti nel paese di appartenenza. Poco tempo fa parlavo con qualcuno delle radici, del fatto che uno senta le radici in un posto rispetto all’altro. E giustamente questa persona diceva che le radici ce le portiamo dietro e le trapiantiamo in un altro terreno. E chiaramente questo ti cambia nella “struttura” (indicando con le sue mani il proprio corpo da testa a piedi). 

B: Sì perché i terreni sono diversi. 

G: E hanno diversi tipi di nutrimenti. 

B: Riprendo la tua frase (indicando Heli) in cui dicevi che senti l’Italiano piú vicina. Ecco, come ci sentiamo quando parliamo in Italiano rispetto a quando parliamo in altre lingue?

Io ad esempio sto cercando di utilizzare sempre piú il Finladese quando insegno danza, ma è ancora faticoso, mi sento frustrato, bloccato (toccandosi il petto). Mentre quando parlo in Inglese io mi sento piú coerente con quello che voglio esprimere, soprattutto in riferimento ai movimenti che voglio ricercare. Chissá magari ho persino imparato a danzare in Inglese. Come vi sentite voi nelle diverse lingue? 

H: Io ho sempre pensato che le persone cambiano un po’ con la lingua che parlano. Ma non so come dirlo, con l’Italiano c’è qualcosa di più soffice e leggero. 

G: Io ho notato, a proposito di questo, forse è una mia teoria, che il Finlandese si parla molto sul fondo del cavo orale, mentre l’Inglese si parla sulla labbra, sulla parte frontale della bocca. E invece l’Italiano si parla molto qua fuori. (portando la mano aperta a mezzo metro davanti alla sua faccia). 

H: Sì è vero! (ridendo). 

G: Quindi il modo di parlare, il tono in cui parliamo e la nostra postura fisica cambiano proprio per la natura stessa della lingua. 

H: E lo Svedese si parla qua (indicando col dito in alto). 

G: Mi sono accorto che la mia lingua di lavoro é l’inglese. Ho studiato danza in Inglese, ho fatto il mio master in Inglese. L’Inglese è stata anche la lingua delle relazioni sentimentali, mentre le amicizie sono legate alla lingua italiana. 

Mi rendo conto che se devo articolare un pensiero astratto, l’Inlgese é piú immediato. Forse perché è una lingua che mi aiuta a sintetizzare. 

H: Anche per me é piú immediato l’Inglese. Quando devo scrivere in Finlandese ci sono molte parole che hanno piú significati ed è difficile essere diretti. 

B: Hai mai lavorato in Italiano? 

H: Si un po’ combinando le tre lingue, perché c’erano studenti sia italiani che finlandesi. Utilizzare l’Italiano é stato abbastanza semplice, anche se impiegavo tempo a cercare le parole giuste. Ma è stato divertente. 

B: Questo mi porta anche ad un’altra domanda: come reagiscono le altre persone alla nostra italianitá, anche acquisita come nel tuo caso Heli? 

G: Bella domanda… perché ovviamente questa italianitá viene interpretata nell’esperienza individuale delle persone presenti… e qui rientra lo stereotipo. Appunto ci si ritrova a dire “l’italiano si comporta in un certo modo”… e quindi tutta una serie di attese e aspettative. A me è successo che durante una produzione in cui ho lavorato, una regista mi disse “sii piú Italiano”, perché voleva una cosa piú vistosa… (porta entrambe le braccia con enfasi davanti a lui)… con volume piú alto, con piú fisicitá… cercava questa cosa e per riassumerla mi disse “sii piú italiano”. E va bene, non era offensiva in questo caso, peró rispondeva a questa aspettativa che l’italiano si comporta in un certo modo. E qualche volta può essere divertente e altre volte diventa un po’ pesante. 

B: Se ti avesse detto “sii un po’ piú vistoso, carismatico, fai uscire un po’ di piú la voce” come avresti reagito? 

G: Sarebbe stato piú facile, mi sarei sentito meno chiuso in un “box”. 

B: Esatto, ti avrebbe dato piú un’apertura all’interpretazione al posto di farti sentire messo nel box delle banalità e degli stereotipi. 

A me è successo che una nostra collega mi disse “Ah voi italiani siete tutti molto estetici”, riferendosi alla nostra percezione dell’arte. Questo mi fece sentire messo nel box della tradizione classica italiana. Certo è un bagaglio che ci portiamo a dietro che in alcuni casi può essere positivo e in altri un po’ controproducente. 

G: Secondo me il problema è con la generalizzazione “Voi siete tutti…”. Il fatto che in italia ci sia una cultura della bellezza, una estetica molto forte, é assolutamente vero. Ma nel momento in cui si generalizza e si dice “voi siete tutti…” diventa problematico perché ti senti di nuovo ingabbiato.

B: Voi credete che le interazioni fatte non con la nostra madrelingua, possono influire, aiutare nel nostro lavoro o no? Cosa ci può portare o togliere nella nostra ricerca? 

H: Nel mio caso io uso nel lavoro sia l’Inglese che il Finlandese, specialmente il Finlandese in quanto ultimamente passo piú tempo qua in Finlandia. Ma ripensando a quando ho avuto l’esperienza di insegnare in Italia… in Italiano, penso che la terza lingua che è entrata nella mia abilitá di comunicare, abbia anche arricchito il movimento. Penso che la lingua porti con sé sempre un diverso punto di vista, aggiungendo e arricchendo nella percezione. 

B: È un bellissimo concetto, ti ringrazio di averlo detto… io molto spesso me lo dimentico che sono italiano. Forse dovremmo utilizzare la nostra cultura di appartenenza, e di conseguenza la nostra madre lingua, più come ricchezza, come ingrediente in più da offrire piuttosto che aver paura di essere ingabbiati negli stereotipi. 

Nel periodo in cui i tre artisti si sono incontrati a fine Marzo 2022, c’è stata l’inaugurazione del teatro Tanssin talo con il doppio programma HUNT di Tero Saarinen e HZ di Johanna Nuutinen. Heli, Giorgio e Beniamino hanno visto lo spettacolo in diverse serate con diversi cast. 

B: Ieri sono andato a avere HUNT e HZ. Io avevo già visto Hunt due volte, una dal vivo nel 2009 in Alexanterin teatteri e una digitale nella versione filmata da Yle. Entrambe con Tero Saarinen che ballava. Ieri era la prima volta che vedevo la coreografia ballata da un’altro danzatore, Atte Kilpinen. Come è stata per voi l’esperienza? 

G: Secondo me funziona ancora lo spettacolo. Ha una forza e un’intensità che resiste nel tempo, nonostante l’aspetto tecnologico che, nel 2002 un video proiettato sul corpo era una cosa impressionante, e oggi, dopo vent’anni, non é più così impattante. 

B: Sono anch’io d’accordo, l’estetica é assolutamente è cambiata, ma comunque lo trovo sempre molto intenso. 

G: E Auri Ahola ha un’intensità straordinaria, riesce ad acchiappare l’attenzione del pubblico magistralmente. 

H: Lei ha le estremità lunghissime e quindi con quei movimenti riusciva a riempire tutto lo spazio.

G: Si espande oltre i limiti fisici, é questa la sua forza. 

B: Mentre io ho visto lo spettacolo con Atte. Sebbene lui sia molto giovane, ha 26 anni, ha avuto la capacità di far suo il linguaggio di Tero Saarinen. Nel suo corpo si vedeva una trasformazione: pur avendo una formazione solida di ballerino classico, è riuscito a plasmarsi nelle movenze organiche della coreografia. Forse quello che mi mancava è l’espressione facciale, l’espressività animalista che invece vedo sempre nei lavori di Tero Saarinen e soprattutto in Tero sulla scena. Ma comunque era eccezionale. 

H: In Auri questo era presente ma era totalmente diverso da Tero. Era interessante vedere le similarità nelle differenze. 

Giorgio, Heli e Beniamino hanno avuto precedentemente un breve incontro con Johanna Nuutinen e uno sei suoi danzatori, l’italiano Riccardo Zadoná. Tale incontro è stato importante per tutti per discutere della collaborazione internazionale e quanto questa abbia arricchito la produzione della performance HZ. 

Di seguito alcuni stralci della conversazione. 

B: Come è stato creare questo lavoro con una collaborazione internazionale e soprattutto con un danzatore Italiano? Cosa ha portato nel tuo lavoro. 

J: Ho avuto sempre esperienze di collaborazioni internazionali e nelle produzioni in cui ho lavorato tante erano le lingue e culture rappresentate nel gruppo. Ho scelto di lavorare con Riccardo attraverso una audizione a distanza dove ho visto la sua qualità di danzatore già attraverso video documentazioni. La sua ricchezza nei movimenti é stata la cosa decisiva non tanto quale sia la sua cultura di appartenenza. 

Certo che nel gruppo la sua Italianitá si è fatta sentire subito: Riccardo si è integrato velocemente nel gruppo, dove c’erano solo danzatori e artisti finlandesi, portando con sé uno spirito di familiarità e di grande ironia. 

R: Da anni io lavoro all’estero e soprattutto nel nord dell’europa, quindi non sono estraneo dal clima e dalla cultura di questi paesi, sebbene questa sia la mia prima volta in Finlandia. L’inglese di conseguenza è la lingua che uso maggiormente sia nel lavoro che nella vita privata di tutti i giorni. Nel lavoro di Johanna e nella sua ricerca coreografica, abbiamo sviluppato una tematica che necessita di essere spiegata a fondo: si basa su una esperienza fatta da Johanna relativamente all’impatto che il suono e l’inquinamento sonoro ha nel nostro corpo. Con me Johanna ha dovuto spiegarlo utilizzando l’inglese e sicuramente c’è stata una semplificazione con la traduzione. Questo mi ha dato una maggior libertà di interpretazione e ho cercato di far mia la sua esperienza attraverso parole che risuonavano in me. Diciamo che la traduzione mi ha aiutato a far mia la sua storia. 

Ritornando al presente Beniamino chiede ai commensali: 

B: Com’é la pizza? 

H: È ottima. 

G: Questa è una pizza buona anche per gli standard italiani. 

B: Nella conversazione con Johanna e Riccardo abbiamo avuto la possibilità di avere una introduzione del loro lavoro e poi l’abbiamo visto in scena. Ecco, quali sono le nostre opinioni?

G: Per me é un ottimo lavoro per aprire ed inaugurare Tanssin talo. È di impatto. Il tappeto sonoro era molto coinvolgente. Danzatori straordinari. Molto bello il lavoro con la scenografia.

H: Sí, molto complesso, infatti c’è quasi poco tempo per concentrarsi a pensare. Succede sempre molto. 

B: Per me questo spettacolo è eccezionale al livello di dimensione. Johanna ha fatto danzare non solo cinque talentuosi danzatori ma anche tutto lo spazio, con una scenografia molto prepotente. Una musica che “ti dava un calcio nel sedere”. Un disegno luci molto spesso. C’erano tanti elementi, ma allo stesso tempo è un lavoro molto arioso. 

G: Io sono rimasto anche durante la discussione col pubblico, Ad un certo punto Tero ha citato quanto lo spazio, pur essendo molto grande, risultasse abbastanza intimo. Io credo che per Hunt questo fosse vero, mentre per HZ non l’ho recepito. Non conosco molto il linguaggio di Johanna Nuutinen e la sua estetica. Questa è stata la prima volta che vedo un suo spettacolo… 

… Ed ora qua faccio un commento da addetto ai lavori, molto critico.

Se andiamo a cercare l’aspetto più problematico nel suo pezzo, a mio riguardo gli elementi si disperdono un po’ nello spazio e questo non mi ha aiutato a concentrare la mia attenzione. I movimenti dei danzatori risuonavano nel mio corpo, diciamo, in maniera dispersa.

H: Per quanto mi riguarda ho avuto alcuni dubbi su dove veniva il movimento, non sempre, ma in alcuni frangenti mi chiedevo da dove partisse e come l’han fatto crescere. 

G: Soprattutto nei momenti di gruppo ho trovato che c’era un conflitto tra la muscolaritá nei movimenti, che accentrava l’attenzione, e una coreografia con molti allungamenti nello spazio, che a mia discrezione disperdeva un po’ troppo l’energia. 

H: In effetti questi momenti di gruppo sono stati quelli in cui mi sono sentita un po’ persa.

B: Per me c’era proprio la volontà di creare quel contrasto, e soprattutto era visibile nel solo di Riccardo. 

H: Eh si! Il solo di Riccardo funzionava benissimo. 

B: Ricordo che Johanna e Riccardo ci hanno raccontato che si sono concentrati su come i rumori risuonano nel corpo e della rigidità che ti può portare. Riccardo è un danzatore talentoso con un modo di danzare fluido e ricco di spirali all’interno del suo corpo. Mentre nel lavoro di Johanna il suo solo parte da una rigidità corporale, molto interessante, che poi viene trasformato nello sviluppo del suo solo. 

G: È stato il momento in cui noi spettatori siamo stati risucchiati. Se tu hai notato infatti era in una posizione dello spazio specifica, non si muoveva nello spazio. Era in quella mattonella… Ha accentrato l’attenzione, e il movimento funzionava benisssmo. 

B: Ma io credo che la danza era resa uno’ più ariosa anche per essere più approcciabile e per dare adito ai diversi momenti della coreografia. 

G: In effetti, il solo di Riccardo magari funzionava perché tutto intorno, prima e dopo nella coreografia, ci sono stati elementi che invece disperdevano. 

H: Eh sí, c’era un forte contrasto. 

B: Non voglio risultare patriottico, ma io credo che la presenza di Riccardo abbia influenzato questo lavoro di Johanna. Tutti i danzatori erano eccezionali, non fraintendetemi, ma forse Riccardo ha portato un linguaggio diverso, una qualità che si concentrava sulla traduzione corporale delle esperienze che Johanna ha condiviso nella sua ricerca… 

Forse la parola chiave è appunto la traduzione, che evidentemente negli altri danzatori non è stata necessaria. 

G: Molto interessante questo che dici. Questa idea di portare un linguaggio diverso può trasformare il lavoro, arricchire, influenzare, e contaminare gli altri danzatori. Questa è una cosa che nella scena della danza contemporanea finlandese manca tanto. Non viene necessariamente apprezzata questa possibilità. La scena Finlandese si sta solo ora lentamente trasformando da mono culturale a multiculturale, rispetto ad altre scene artistiche europee. 

Stando in Olanda era normale lavorare in una compagnia con 6 danzatori e 7 nazionalità (facendo sorridere gli altri). C’è necessariamente un miscuglio di linguaggi gestuali, emotivi… di linguaggi culturali che si contaminano, si trasformano e creano un altro ibrido. Qua in Finlandia non è molto diffuso. 

H: E non bisogna dimenticare che qua quasi tutti hanno studiato nella stessa scuola, comunicano con le stesse parole, tutto si chiude a riccio (congiungendo le sue mani fino a chiuderle).

G: E questa trasformazione sta iniziando solo ora. 

B: Ma parliamo soprattutto della danza e del teatro, perché in altre arti, come nella musica e nelle arti visive, la contaminazione internazionale già é avvenuta tempo addietro.

G: Io credo che nel nostro campo non sempre viene apprezzata la contaminazione.

B: Forse perché c’è la paura dell’interpretazione errata o della “Lost In Translation”, che invece a mio riguardo è una cosa che può arricchire. Io spesso riscontro che la mia incapacità di capire tutte le parole in Finlandes mi fa concentrare solo su quelle poche che recepisco e che di conseguenza considero come parole chiave. Questo mi da la libertà di interpretare i concetti attraverso la mia percezione anche se risulta diverso da chi mi stanno attorno. Mi prendo la libertà di fare l’errore. Forse la paura di sbagliare porta alla paura della contaminazione. A mio riguardo invece la “male” interpretazione va presa semplicemente come un arricchimento. Un errore può portare ad un dialogo che, però senza essere ottusi, può portare nuovi concetti, nuovi punti di vista. L’arte contemporanea, e soprattutto la danza, porta con sé molte incognite, ma lascia sempre la libertà a diverse interpretazioni e discussioni critiche. 

Ieri, alla fine dello spettacolo, hanno chiesto per quanti, tra gli spettatori, era la prima volta che vedessero uno spettacolo di danza contemporanea. Io spero che Tanssin talo porterà una maggior attrazione per questa arte da parte di un pubblico più popolare… 

G: E più giovane! 

B: Più nuovo, magari anche meno esperto, ma ci vuole. Mi spiace dire che certe volte noi artisti della danza abbiamo timore nella commercializzazione della nostra arte. Mentre io credo che un lavoro artistico è forte soprattutto quando riesce a parlare a più persone senza limitare chi ti ascolta e chi ti guarda. 

G: La speranza é quella che Tanssin talo sia un posto dove la danza diventi accessibile e non più intimidatoria. 

H: Eh si é sempre così, il pubblico ha paura di non capire e quindi preferisce non assistere a spettacoli di danza contemporanea. 

G: E per me lo spettacolo di Johanna era perfetto per “settare” lo standard…

H: Ma si dice “settare”? 

B: No! Non é corretto, é un inglesismo! 

G: Ha praticamente “impostato” il livello e la qualità che ci si può aspettare da una Dance House internazionale. 

B: Stiamo parlando di un teatro con 700 persone 

G: Ed era pieno! 

B: Il mio compagno ha sentito alcuni spettatori parlare durante l’intervallo e dire che era già la seconda volta che vedevano lo spettacolo! Immagino che in diversi posti avevano diverse percezioni sia visive che sonore, e quindi il pubblico viene coinvolto in maniera diversa.

G: Grazie a questa occasione di scrivere per Liikekieli, siamo stati trattati come giornalisti e quindi avevamo dei posti perfetti, in centro, con una visione ottimale su tutta la scena.

B: Wow! Forse dobbiamo essere più giornalisti e meno artisti della danza! (e tutti si mettono a ridere).


Beniamino Borghi

 

Heli Keskikallio. Foto Pedro Hurpia.

 

Giorgio Convertito. Foto Mariia Solodiankina.

 

Foto articolo: Stéphane Louesdon.